La “questione OGM” è
sempre più pressante: da un lato chi ritiene che siano la panacea
per risolvere tutti i mali, dall'altro chi sostiene che gli Organismi
Geneticamente Modificati rappresentino quanto di più aberrante la
mente umana abbia mai ideato. Se da un lato sarebbe ingiusto bocciare
a priori questa, come altre, ricerche scientifiche ispirati solamente
da motivazioni di carattere ideologico, altrettanto scorretto sarebbe
affermare che tutto quanto l'uomo può tecnicamente fare sia, solo
per questo, fattibile.
Ed è proprio trasferendo
alla “questione OGM” il motto latino Primum non nocere che ci si
dovrebbe approcciare a questa tematica, applicando cioè quel
principio di precauzione che secondo la Unione Europea può così
essere definito: “Il principio di precauzione permette di reagire
rapidamente di fronte a un possibile pericolo per la salute umana,
animale o vegetale, ovvero per la protezione dell'ambiente. Infatti,
nel caso in cui i dati scientifici non consentano una valutazione
completa del rischio, il ricorso a questo principio consente, ad
esempio, di impedire la distribuzione dei prodotti che possano essere
pericolosi ovvero di ritirare tali prodotti dal mercato.”
Ad oggi, la ricerca
scientifica, se da un lato non ha sicuramente accertato che gli OGM
siano dannosi, non ha d'altra parte nemmeno accertato che siano
assolutamente privi di pericoli per l'ambiente e per la salute, per
cui, a rigore, sarebbe assolutamente necessario, almeno, altro tempo
per poter addivenire a risposte più sicure, supportate da un maggior
numero di dati sperimentali e soprattutto da una maggiore quantità
di dati sperimentali, indispensabili per ottenere risultati probanti
e, se non ancora completamente privi di rischi, meno suscettibili di
errori di interpretazione e di valutazione.
A tale riguardo va fatta
una piccola parentesi: gli inquinamenti da radiazioni o da sostanze
chimiche sono dannosissimi, pericolosissimi, devastanti e lungamente
persistenti negli ecosistemi che colpiscono (l'uranio ha
tempi di dimezzamento di migliaia di anni, la diossina di alcune
decine di anni) ma l'eventuale inquinamento genetico di una
popolazione spontanea di una determinata specie con polline della
stessa specie ma geneticamente modificata è un processo
irreversibile che porterebbe a conseguenze che, allo stato attuale,
nessuno è in grado di prevedere quali potrebbero essere. Potrebbe
succedere che una varietà coltivata venga modificata per resistere
ad un diserbante e che questo carattere venga casualmente trasmesso
alla popolazione selvatica la quale, a sua volta, diventerebbe
resistente allo stesso diserbante: con quali conseguenze? Dovremmo, a
questo punto studiare e trovare un nuovo principio attivo capace di
combattere questo “mostro”, con buona pace di chi sostiene che
gli OGM sono il modo per ridurre l'impiego della chimica (ricordiamo,
solo a titolo informativo, che una pianta è infestante nel momento
in cui cresce laddove l'agricoltore non vuole essa cresca, per cui
anche una pianta di insalata, in un campo di fagioli, è
un'infestante).
Queste dinamiche, tra
l'altro, potrebbero crearsi anche a livello di campi coltivati: la
ricerca di OGM utilizzabili in agricoltura si sviluppa
fondamentalmente verso due obiettivi:
- creare varietà di
piante che resistono specificatamente a determinati diserbanti, in
modo da poter usare questi principi attivi, secondo chi è favorevole
agli OGM, in dosi e modalità meno impattanti per l'ambiente (e qui
vale il principio generale appena enunciato);
- creare varietà che,
grazie all'inserimento di geni (di specie diverse, ad esempio di un
batterio nel mais), diano la possibilità alle piante di autoprodurre
le tossine in grado di debellare i parassiti (specialmente gli
insetti) che normalmente colpiscono e si nutrono di queste colture,
riducendo così l'impiego di prodotti fitosanitari.
Se da un lato, va detto,
nel breve periodo il risultato viene raggiunto, non è ben chiaro (o
meglio è chiaro, ma a qualcuno è più comodo renderlo un po' più
scuro) quello che può succedere nel medio – lungo periodo: in
natura esiste (fortunatamente, dal momento che è la base
dell'evoluzione di ogni specie vivente) la biodiversità
intraspecifica, per cui alcuni individui si possono ammalare (anche
di malattie gravi) e poi guarire o addirittura non ammalarsi affatto
(basti pensare ai monatti descritti dal Manzoni nei Promessi Sposi).
Anche tra gli insetti
fitofagi che si nutrono di piante transgeniche si potrebbero trovare
individui resistenti alla tossina e, per un altro processo biologico
detto pressione di selezione, saranno proprio questi che si
riprodurranno con più facilità, dando origine a delle progenie a
loro volta resistenti alla tossina. Cosa bisognerà
fare a questo punto? Semplice, occorrerà rivolgersi, ancora una
volta, alla chimica per ricercare nuove molecole, sempre più
potenti, in grado di debellare questi nuovi super–parassiti (tra l'altro,
della comparsa di questi super–parassiti se ne hanno già prove
certe).
Proprio per evitare, o
almeno per rallentare, questo processo di creazione di super –
parassiti, le coltivazioni GM andrebbero alternate per un 20 – 50%
a coltivazioni convenzionali (e non trattate chimicamente): ma così
facendo, gli eventuali benefici economici derivanti dalla loro
coltivazione rimarrebbero tali? Saremmo in grado di controllare
l'effettiva applicazione di tale indicazione? Non dimentichiamoci che
la globalizzazione ha già colpito anche nel settore dei parassiti
agricoli (e non solo agricoli): la diabrotica del mais, il punteruolo
rosso delle palme, la zanzara tigre, ecc.
Se poi aggiungiamo che la
tossina prodotta dal gene del Bacillus thuringiensis introdotto nel
mais per combattere la piralide è potenzialmente allergenica per
l'uomo, così come altri prodottidell'ingegneria genetica, ecco che
si apre un altro fronte di discussione ...
Quindi, se è vero che
nell'immediato si assiste ad una riduzione dell'impiego di molecole
di sintesi, non è vero che questo succederà anche tra qualche anno
(dieci, venti? Non lo so e non mi interessa, mia figlia ha quindici
anni, e vorrei lasciarle, possibilmente, un mondo il più possibile
pulito – in tutti i sensi).
Interessante è anche la
teoria (sostenuta anche da illustri personaggi, che però lo hanno
fatto solo su riviste rivolte al grande pubblico e mai su
pubblicazioni scientifiche; è come se un insegnante di matematica
nel cortile della scuola sostiene che due più due fa cinque e poi in
classe parla di integrate e derivate) secondo la quale il mais Bt,
proprio perchè in grado di “autocombattere” gli insetti è meno
stressato, quindi meno sensibile all'attacco fungino, e quindi più
sano perchè meno ricco di aflatossine (tossine prodotte da delle
muffe che attaccano il mais e che sono, tra le altre cose,
cancerogene): dai dati sperimentali, però, risulta che la polenta
che provenga da mais “normale” o GM contiene le stesse quantità
di aflatossine (che ci sono, inutile negarlo, anche perchè il mais
viene coltivato in ambiente caldo e umido), le quali vanno
controllate con opportune tecniche agronomiche ma soprattutto con
adeguate tecniche di conservazione e stoccaggio.
Poi qualcuno aggiunge: ma
se l'agricoltore usa meno mezzi tecnici, e considerando tra l'altro
che gli OGM garantiscono
produzioni maggiori, perchè non dovrebbero adottarli?
Anche qui si ragione sul
breve periodo: uno dei principi dell'economia agraria (che è sotto
gli occhi di tutti, soprattutto dei produttori, specie in un momento
di crisi come questo) afferma che, ad una riduzione dei costi di
produzione segue una diminuzione dei prezzi dei prodotti agricoli,
che va di fatto ad annullare questo solo potenziale beneficio.
Vorrei ricordare che una
delle accuse che si portavano a detrimento dell'agricoltura biologica
ai suoi albori era che si produceva meno, fatto questo smentito dalla
storia: una corretta applicazione delle sue tecniche fa produrre
nello stesso identico modo rispetto all'agricoltura convenzionale.
Nello stesso modo non esistono dati così eclatanti di aumenti
altrettanto eclatanti delle produzioni GM, o comunque tali da
giustificare, nel complesso, questo entusiasmo da tifo calcistico.
Se poi affrontiamo il
discorso della brevettabilità delle cultivar geneticamente
modificate è come aprire il vaso di Pandora: il costitutore ABC
della varietà GM potrebbe fissare il prezzo della semente, imporre
dei disciplinari di produzione che prevedano magari l'utilizzo di
diserbanti ed insetticidi (che, guarda caso, vengono prodotti proprio
da ABC), imporre royalty sulla produzione e/o sul venduto,
appropriandosi di fatto dell'eventuale maggior margine di guadagno,
che non verrà certamente lasciato al singolo agricoltore il quale,
in un processo di sempre maggiore industrializzazione del processo
agricolo, rappresenterebbe un granello di sabbia nel deserto, con
praticamente nessuna possibilità di vedersi ricompensare per un
lavoro, l'imprenditore, che di fatto qualcun'altro svolge per conto
suo (diventerebbe in pratica un mero apportatore di lavoro e di poco
altro, ad esempio le macchine).
In questa ottica va poi
valutata la particolare situazione italiana: confrontata ad altri
sistemi agricoli come quello statunitense, canadese, argentino, ecc.,
caratterizzati da grandi estensioni e da costi di produzione
decisamente più bassi perchè legati alla possibilità di adottare
economie di scala che permettono di ottenere grandi quantità di
materie prime a costi unitari minori, ha senso questo processo di
industrializzazione estrema della nostra agricoltura? In altre
parole, il nostro Paese ha bisogno di OGM o ha bisogno di
un'agricoltura che produca qualità, tutela del territorio, cultura e
molto altro ancora? Se ci confrontiamo sui prezzi siamo già
perdenti, perchè vogliamo peggiorare la nostra situazione? Perchè
non ci concentriamo sulle eccellenze e su di esse non creiamo un
sistema Italia utile agli agricoltori e agli italiani? Per fare
questo non ci servono gli OGM ...
Ma gli OGM possono
risolvere molti problemi legati alla scarsità di cibo o possono
essere utilizzati per risolvere, in maniera facile ed economica,
alcune carenze nutrizionali specifiche di alcune popolazioni, per cui
sarebbe sciocco non coltivarli e non utilizzarli.
Vero, sono state create
alcune varietà di piante particolarmente ricche di alcuni principi
nutritivi, tra cui il più famoso è il Golden Rice (il riso d'oro,
un riso che contiene beta-carotene, un precursore della provitamina A
che nel nostro organismo viene metabolizzata a vitamina A).
In alcune popolazioni
povere delle Filippine con dieta non diversificata a prevalente
presenza di riso si manifestano problemi oculari con cecità legati
alla carenza di vitamina A, che secondo alcuni potrebbero essere
risolti con il riso d'oro. Il problema sta nella quantità di riso
che dovrebbe essere introdotta quotidianamente con la dieta per
garantire la dose consigliata di vitamina A necessaria a contrastare
l'insorgenza di patologie oftalmiche: si parla di qualcosa come circa
quattro chilogrammi di riso tal quale (quindi circa otto chilogrammi
di riso cotto), una quantità che ben difficilmente una persona
riesce ad assumere. Va anche ricordato che questo progetto ha subito
dei rallentamenti nel suo progredire legati da un lato
all'opposizione di alcune associazioni antibiotech (che hanno anche
sabotato e distrutto alcune coltivazioni – e qui andrebbe
sottolineato come non si dovrebbe rispondere a quella che tu
consideri violenza con altra violenza), e dall'altro al fatto che la
distribuzione (anche gratuita) del riso d'oro avrebbe violato i
diritti di diversi soggetti (multinazionali ed università) titolari
del brevetto sulla varietà GM.
Certo, lo sviluppo di
piante e di alimenti nutraceutici (nutrienti e farmaceutici) potrebbe
rappresentare un settore di sviluppo interessante, ma gli stessi
risultati, e cioè una dieta equilibrata e con i giusti apporti di
tutti gli elementi di cui il nostro organismo ha bisogno è un
obiettivo perseguibile anche senza dover necessariamente coltivare in
pieno campo piante frutto di un cocktail genetico non ben
identificato.
Inoltre va considerato
che il problema della produzione e della distribuzione di cibo nel
mondo è spesso, più che una reale carenza di alimento, una distorta
distribuzione dello stesso e lo specchio di un sistema dove vi sono
paesi ricchi che sprecano calorie a scapito di paesi poveri; non è
quindi un problema di OGM, in quanto se poi anche questi non verranno
distribuiti in maniera equa ci ritroveremo ancora nella stessa
identica situazione, tanto più che se le sementi OGM saranno
brevettate (anzi sono brevettate) e verrà approvata l'aberrante
legge che proibisce il libero scambio di sementi autoprodotte tra
agricoltori, chi darà ai produttori del cosiddetto Terzo Mondo i
denari per accedere a queste sementi?
Vi sono poi
considerazioni di tipo etico: è giusto sostituirsi alla natura e
creare nuovi organismi abbattendo le barriere tra specie o
addirittura regni naturali diversi?
L'uomo è da millenni che
applica le biotecnologie, intese come l'applicazione tecnologica che
si serve dei sistemi biologici, degli organismi viventi o di derivati
di questi per produrre o modificare prodotti o processi per un fine
specifico (Convenzione sulla Diversità Biologica, Nazioni Unite,
1992), per produrre alimenti (vino, birra, yogurt, ecc.), e negli
tempi nel settore dei biorisanamenti ambientali, come d'altra parte
sono decenni che vengono utilizzati sistemi di selezione a volte
violenti come le radiazioni per ottenere nuove varietà con migliori
caratteristiche agronomiche (esemplificativo è il caso del grano
Creso, ottenuto per mutazione indotta tramite radiazioni dalla
varietà Senator Cappelli), solo accelerando il naturale processo di
mutazione genetica che rappresenta anch'esso uno dei cardini
evolutivi di ogni specie vivente e senza inserire artificialmente
geni estranei alla specie.
Ma è solo con
l'ingegneria genetica (una branca, moderna, delle biotecnologie) che
si interviene in maniera così drastica e per la prima volta
“mescolando” organismi anche molto distanti tra di loro sul piano
evolutivo e genetico, tanto che la Direttiva 2001/18/CE del 12/03/01
art. 2 definisce un'OGM come “organismo il cui materiale genetico è
stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con
l’accoppiamento e/o la ricombinazione genetica naturale”: abbiamo
la certezza di quello che potenzialmente potrà succedere nel futuro?
Non è solo una questione
di eventi, è anche una questione di tempi: la natura,
tendenzialmente, aggiusta tutto, ma deve essere messa nelle
condizioni, e gli deve essere dato il tempo, di farlo.
Facciamo un altro
esempio: dall'inizio della rivoluzione industriale industriale ad
oggi la concentrazione di anidride carbonica nell'atmosfera è andata
via via aumentando, ma perchè?
Perchè abbiamo bruciato
in poco più di due secoli quanto la natura aveva sequestrato in
milioni di anni, ed il sistema Terra non è in grado di tamponare in
così poco tempo la combustione di una così elevata quota di
biomassa (il petrolio, alla fine, non è che massa vegetale
fossilizzata). Nello stesso modo l'ecosistema (dal campo al pianeta
nel suo complesso) non siamo ad oggi in grado di sapere come
risponderà all'introduzione, in un brevissimo lasso di tempo, di
questi nuovi esseri viventi, ricordando l'evenienza che
l'inquinamento genetico, come già visto, è un processo
irreversibile e dal quale “non si torna indietro”.
In conclusione, non si
tratta di essere a priori pro o contro gli OGM, ma di valutare le
condizioni socio-economiche ed eco-ambientali, gli obiettivi che si
vogliono perseguire, le modalità di utilizzo e le potenziali
conseguenze sull'intero sistema che la coltivazione in pieno campo di
questi organismi può determinare: solo la certezza che questa
tecnologia (così come tutte le altre tecnologie) è sicura al di là
di ogni ragionevole dubbio può portarci a dare un giudizio scevro da
ogni fondamentalismo ideologico ma soprattutto un giudizio che ci
permetta di garantire che le scelte fatte “si risolvano in disastri
per la salute dell’uomo e per l’avvenire della terra”.
(Giovanni Paolo II, Intervento alla festa del Giubileo del mondo
agricolo, Roma, Aula Nervi 11/11/2000)
Ezio Casali
la bibliografia è disponibile presso l'autore
per il pdf clicca QUI
LA "QUESTIONE OGM"
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